"Mamma, ma quando muoio, potrò vedere la neve?". La domanda echeggia nella fontana vuota e muschiosa di San Francesco. E’ una bambina, Bianca, vicino a me. Mamma Valentina la guarda impotente.
Il mare è facile, a poche fermate di metro. La neve no. Lei lo sa perché il sogno della sua bambina fu il suo. La targhetta appesa ai doposci nel mercatino rionale di 15 euro. Almeno quelli, e poi la quota della gita parrocchiale... Non stiamo parlando di settimana bianca certo, ma di una giornata con pranzo al sacco, di quelle che i nostri genitori facevano negli anni settanta. Per chi li aveva i genitori.
Valentina bambina aveva perso il padre, ed era vissuta con una madre schizofrenica che si accompagnava a strani individui, sempre diversi. Qualcuno faceva qualche carezza poco paterna. Un turbinio di assistenti sociali per lei e il piccolo fratellino, fino all’arrivo in collegio, dove rimanere per tutta l’infanzia e la giovinezza. Una minestra allungata la sera, una fame perenne di cioccolata e carezze. E la distanza enorme dal collegio del fratellino, da cui era stata separata da una burocrazia crudele. Una distanza colmata ogni domenica da tre autobus per stare insieme in stanzoni freddi senza giochi, soli, ma con un amore di cui tutti noi non possiamo immaginare la misura.
"Quando salivamo sull’autobus che avevamo il permesso per uscire ci stringevamo l’uno all’altro per il freddo, perché non avevamo la giacca". Non erano tempi di guerra, erano gli anni del moncler e dei camperos.
Valentina è diventata grande presto, ha cercato subito una casa per badare a se stessa e al fratello.
L’urgenza del pane piega a squilibri, la necessità incontra la necessità. Ha cercato una solidità che non ha trovato con fidanzati difficili, fondamenta economiche erette su storie di violenza.
Poi il matrimonio con un uomo che, come lei, non aveva avuto nulla. "Io sono cresciuto bene così, per strada, le nostre bambine possono fare altrettanto".
Valentina attende che esca dall’officina sperando che non passi dalle maledette macchinette videopoker. Poi la cena, pane e latte -a lunga conservazione, che costa meno. A volte per le sue bambine un dolcetto al bar, un vestito al di sopra delle possibilità, per far vedere che è tutto ok, che sono come le altre.
Bianca però fa richieste di lussi insoliti, prende tutti 10 e vorrebbe andare il pomeriggio al giornale della scuola dove è stata chiamata a fare la piccola cronista, invoca e supplica di diventare una campionessa di arti marziali, invece di stare in quel parco, dove passano gli altri bambini con i kimono.
E ora la gita sulla neve. Piange per due giorni insistendo, mentre la madre non la ascolta per dedicarsi alla sorella piccola, che sa essere più debole, meno intelligente. Esausta Bianca comprende, come la mamma quando fu bambina, che il desiderio andava sepolto. Per la prima volta capisce che non ha la forza per sostenerlo contro i grandi, che è in balìa della rassegnazione di sua madre, dei fallimenti di suo padre, della crudeltà di una nonna paterna gretta. Quindi tace pur sapendo che in qualche luogo c’è la neve.
La neve esisteva, e aveva mandato il suo richiamo desiderando di abbracciare Bianca, mentre faceva l’angelo.
Bianca invece non desiderando più nulla, era, adesso, nella luce del tramonto d’inverno, improvvisamente come la mamma, e il muto muschio sull’orlo della fontana.
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