Beh l'età ce l'aveva, 102 anni sono tanti. Intanto la Rai le aveva
dedicato una fiction a Micol, assieme alle sue sorelle Zoe e Giovanna.
Storie di altri tempi, altro che storytelling da urban coach.
Figure simbolo della migliore Roma, le sorelle Fontana. Micol era sempre disponibile, con tutti. Ho incontrato subito la sua leggenda in via Ligura, mentre dirigevo la rivista “Dolce Vita oggi” che raccontava il tempo d'oro di Via Veneto.
In realtà il vero incontro con Micol Fontana lo devo alla rivista “Event gioielli e persone”. Compravamo in agenzia vecchie foto di grandi personaggi. Erano le star dell'epoca di Hollywood sul Tevere. Gliele facevo vedere a caccia di aneddoti, commenti. E Micol, pure dopo anni, non diceva proprio niente, parlando con garbo per ore. Come una vera Signora, raccontava di Ava Gardner glissando su Walter Chiari o Audrey Hepburn omettendo la sua taglia: non usciva nulla oltre quello che intuivi dalla foto.
I ricami, la finezza, il grande lavoro artigianale sugli abiti, raccoglievano tutti i segreti tra le stoffe e le impunture. La burrascosa storia tra Linda Christian e Tyrone Power, le intemperanze di Liz Taylor, la riservatezza di Grace Kelly. E poi Jackie Kennedy, Soraya: praticamente tutte passarono per le scalinate di Piazza di Spagna per giungere a confessare amori e disgrazie durante la prova degli abiti. Mai un pettegolezzo, una chiacchiera è uscita dalle quelle mura.
Prima di loro il nulla. C'era Dior, ma in Francia. La grande moda italiana è iniziata con queste tre sorelle. Guai a chiamarle stiliste: “siamo sarte”. Una modestia spaesata. Uno stile forse scomparso con le dive che lo vestivano, ricordato ormai solo nella Fondazione che lo ricerca ancora nella speranza che non si sia estinto come i dinosauri nell'era glaciale, al sorgere dell'alba delle desinenze “ina”: velina, letterina, gieffina.
Per quelle dive c'erano gonne ampie, sete fruscianti, velluti ricchi e nomi che riempiono l'aria con eleganza. “Ava Gardner”. “Mica pizza e fichi” direbbe mia nonna.
Figure simbolo della migliore Roma, le sorelle Fontana. Micol era sempre disponibile, con tutti. Ho incontrato subito la sua leggenda in via Ligura, mentre dirigevo la rivista “Dolce Vita oggi” che raccontava il tempo d'oro di Via Veneto.
In realtà il vero incontro con Micol Fontana lo devo alla rivista “Event gioielli e persone”. Compravamo in agenzia vecchie foto di grandi personaggi. Erano le star dell'epoca di Hollywood sul Tevere. Gliele facevo vedere a caccia di aneddoti, commenti. E Micol, pure dopo anni, non diceva proprio niente, parlando con garbo per ore. Come una vera Signora, raccontava di Ava Gardner glissando su Walter Chiari o Audrey Hepburn omettendo la sua taglia: non usciva nulla oltre quello che intuivi dalla foto.
I ricami, la finezza, il grande lavoro artigianale sugli abiti, raccoglievano tutti i segreti tra le stoffe e le impunture. La burrascosa storia tra Linda Christian e Tyrone Power, le intemperanze di Liz Taylor, la riservatezza di Grace Kelly. E poi Jackie Kennedy, Soraya: praticamente tutte passarono per le scalinate di Piazza di Spagna per giungere a confessare amori e disgrazie durante la prova degli abiti. Mai un pettegolezzo, una chiacchiera è uscita dalle quelle mura.
Prima di loro il nulla. C'era Dior, ma in Francia. La grande moda italiana è iniziata con queste tre sorelle. Guai a chiamarle stiliste: “siamo sarte”. Una modestia spaesata. Uno stile forse scomparso con le dive che lo vestivano, ricordato ormai solo nella Fondazione che lo ricerca ancora nella speranza che non si sia estinto come i dinosauri nell'era glaciale, al sorgere dell'alba delle desinenze “ina”: velina, letterina, gieffina.
Per quelle dive c'erano gonne ampie, sete fruscianti, velluti ricchi e nomi che riempiono l'aria con eleganza. “Ava Gardner”. “Mica pizza e fichi” direbbe mia nonna.
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