Ugo Vetere, un bel ricordo

http://www.soveratiamo.com/images/2013/04/Ugo_Vetere.jpgScrivevo sulla "storia della lotta  per la casa a Roma", narrava il passaggio dalle baraccopoli alle case popolari, dalle periferie di Pasolini alla città. Ugo Vetere fu un sindaco che segnò quella  storia di Roma. Fu colui che per primo porto i figli del Sud, abitanti degli ultimi anelli della città a vivere Trinità dei Monti, come luogo di appartenenza indistinta. Fu sindaco che firmò la transizione verso la modernità di Roma e nel 1998 stava in una stanzetta sommersa di scartoffie in un ufficio qualsiasi dietro via Cavour.
   
Quando ha capito che si sarebbe occupato di politica nella sua vita?
Durante l’occupazione tedesca. Nel 1945 ho iniziato il lavoro nel sindacato. Poi mi dimisi per militare nel PCI e entrare nel consiglio comunale di Roma dove sono rimasto quasi ininterrottamente dal 1966. Sono stato eletto 10 volte: 5 in consiglio comunale 4 volte in Parlamento e una volta in prima circoscrizione. Ora sono qui alla Lega delle Autonomie Locali, cerco di dare un contributo, come tutti. Sono uno che va in giro per strada: ho l’abbonamento mensile all’autobus come un vecchio pensionato.
Che ricordo ha di quando fu sindaco di Roma?
Ci sono stati momenti particolari molto belli. Quando io vado in giro per Roma vedo questi grandi cartelli sui settecento cantieri aperti, so che Esterino Montino sta proseguendo un lavoro di cambiamento nato anni fa di cui sono orgoglioso. Per me tuttavia la priorità non era fare più bella Roma. Per me la priorità era farla più giusta, più umana, più vivibile. Io avevo migliaia e migliaia di persone che vivevano nelle baracche: cittadini come me, con i mei stessi diritti.
E c’era pura la metro A da finire.
Una metropolitana che era in costruzione da vent’anni. Una storia di burocrazia che solo quella meriterebbe un romanzo: non era possibile avere un finanziamento dalla Cassa Depositi e Prestiti, non si dava una linea di credito. Riuscire a portare a termine la linea A è stata un’avventura rocambolesca. Un sindaco comunista che riusciva ad avere un prestito da un miliardo di dollari di banche americane sembrava una barzelletta, ma non tutti ridevano. Fu presentata la legge sul finanziamento da parte della Cassa Depositi e Prestiti e così fui in grado di dire al Ministro del Tesoro: “prenditelo tu questo miliardo di dollari, a me serve solo una linea di credito”.
E invece l’approccio verso il problema dei baraccati?
Per me la priorità era costruire piuttosto che ricoverare in alloggi provvisori. Così feci costruire 4500 case a Tor Bella Monaca. Certo, lì poi bisognava proseguire con servizi, ma dopo il giugno dell’85 tutto si è fermato. Non c’erano soldi per gli asili nido, i centri anziani, qualche piscina e centro sportivo.  Ma era difficilissimo. Mi ricordo che al Quarticciolo costruii una piscina comunale e si lamentarono perché avevo abbattuto dieci alberi e non li avevo fatti ripiantare. La gente non vede mai quello che hai fatto ma quello che devi fare, quello che manca.
Ma è vero che a Roma mancava anche un sistema fognario e ci si appoggiava al tracciato della degli antichi romani?
Sii! Una cosa incredibile. In quel periodo abbiamo fatto 800 chilometri di rete fognaria, 500 chilometri di illuminazione; costruimmo 250 complessi scolastici per 5000 aule e 1000 di queste stavano in periferia, nelle borgate.
Nelle borgate a Roma si faceva la fila alla fontanella per l’acqua potabile…
Sì, risolsi il problema dell’acqua. Non se lo ricorda più nessuno. Noi abbiamo commesso un errore gravissimo e il Partito Comunista lo ha commesso ancora più  grande di noi. Non abbiamo comunicato quello che facevamo. Lo sapevano in quel quartiere, quelle persone e basta. Ancora oggi nelle borgate mi chiamano e mi ringrazio, ci sono alcune periferie di Roma dove mi fanno presidente onorario di associazioni e organizzazioni territoriali.
Le spiace che solo in pochi sappiano quello cha ha fatto, che sarà un messaggio che non attraverserà le prossime generazioni?
Noi siamo riusciti in quel periodo a mettere in campo stanziamenti per complessivi 11.000 miliardi di lire ai valori di oggi(1998 ndr). Fummo bravi ma non tanto nel reperirli quanto nel metterli a frutto per far diventare Roma una città moderna. Io conoscevo bene la periferia di Roma, dal dopoguerra. Sapevo che nella grande periferia romana ci stavano quelli che vengono dalla Calabria, dalla Campania, dall’Abruzzo,  dalla Sicilia. 
Sapevo che questa citta ha una sua capacità di capire che il mondo è uno, ma che le comunità sono diverse religiosamente, storicamente politicamente. Roma è il risultato di una conca di popoli dove ognuno si sente a casa sua. Bisogna fare sentire uno che viene, per dire, dalla una terra come quella mia (viterbese ndr)  il ricordo dell’odore delle erbe di casa sua. I cittadini delle borgate dovevano sentirsi cittadini di questa città. E’ una cosa alla quale abbiamo lavorato per anni, cominciando contro le leggi fasciste sulla migrazione, fino a quando partì la metropolitana che portava la periferia a piazza di Spagna.

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